IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 251 del 2011, proposto da: Maria Gilda Brindesi, rappresentato e difeso dagli avv. Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti, Valerio Speziali, con domicilio eletto presso avv. Francesca Ramicone in L'Aquila, via Giovanni Pascoli, 1/A - 3/B; Giuseppe Iannaccone, Silvia Rita Fabrizio, Giovanni Novelli, Augusto Pace, Elvira Buzzelli, Alberto Sgambati, Luigi D'Orazio, Marco Flamini, Guido Cocco, Giovanni de Rensis, Roberto Ferrari, Luigi Santini, Domenico Canosa, Giansaverio Cappa, Giorgio Di Benedetto, Massimo Marasca, Federico de Siervo, Aura Scarsella, Maria Teresa Leacche, Stefano Gallo, Maurizio Maria Cerrato, Fabrizia Ida Francabandera, Laura Colica, Greta Aloisi, Stefano Giovagnoni, Bruno Auriemma, Angela Di Girolamo, Giovanni Spinosa, Giampiero Maria Fiore, Carla De Matteis, Giovanni Canzio, Luigi Antonio Catelli, Luigi Cirillo, Giuseppe Romano, Maria Luisa Ciangola, Armanda Servino, Maria Gabriella Tascone, Radoccia Italo, Davide Rosati, Carmine Di Fulvio, Guendalina Buccella, Andrea Paolo Vassallo, Ileana Ramundo, Stefania Cannavale, Fabio Picuti, Anna Maria Tracanna, Carla Ciofani, Roberta D'Avolio, Antonietta Picardi, Simonetta Ciccarelli, Cecilia Angrisano, Donatella Formisano, Petra Giunti, Silvia Reitano, Vittoria Correa, rappresentati e difesi dagli avv. Valerio Speziali, Marco Cuniberti, Vittorio Angiolini, con domicilio eletto presso avv. Francesca Ramicone in L'Aquila, via Giovanni Pascoli, 1/A - 3/B; Contro Ministero della Giustizia, Presidenza Consiglio Ministri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata per legge in L'Aquila, Complesso Monumentale S. Domenico; Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata per legge in L'Aquila, Complesso Monumentale S. Domenico; Per il riconoscimento del diritto al trattamento retributivo spettante senza tener conto delle decurtazioni di cui al comma 22 dell'art.9 del d.l. 31 marzo 2010 n.78, come conv. con modif. in legge 30 luglio 2010, n.122, nonche' per la condanna delle amministrazioni resistenti al pagamento delle somme corrispondenti, con ogni accessorio di legge. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2011 il dott. Maria Abbruzzese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; I. - I ricorrenti, tutti magistrati ordinari in servizio presso gli uffici giudiziari ricompresi nella circoscrizione territoriale di questo TAR, chiedono il riconoscimento del proprio diritto alla retribuzione da calcolare senza le decurtazioni di cui ai commi 21 e 22 dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n.122, nonche' la condanna dell'Amministrazione ai conseguenti pagamenti, se del caso con ogni accessorio di legge. Il ricorso deduce: 1) Violazione e falsa applicazione del comma 22 dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, come convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, anche in relazione alla legge 19 febbraio 1981, n. 27; violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23, 36, 53, 97, 101, 102, 104, 107, e 108 della Costituzione; irragionevolezza ed illogicita' manifeste; eccesso e sviamento di potere: i ricorrenti ricordano che, secondo la giurisprudenza, anche della Corte costituzionale, il trattamento economico dei magistrati corrisponde alla «peculiare ratio di attuare il precetto costituzionale dell'indipendenza e di evitare che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri» (cfr. sentenze n. 42 del 1993 e n. 409 del 1995, ordinanze n. 346 del 2008); le misure di taglio del trattamento economico per cui e' causa, incidendo - in riduzione - sulle retribuzioni dei magistrati, sembrano in contrasto con i principi di certezza e di continuita' delle retribuzioni spettanti ai magistrati; 2) Violazione e falsa applicazione del comma 22, primo periodo, dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, come convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, anche in relazione alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, sotto altro profilo: i ricorrenti evidenziano che il comma 21 dell'art. 9 ha disciplinato, ai fini del «contenimento delle spese in materia di pubblico impiego», il «meccanismo di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato per gli anni 2011, 2012 e 2013»; il successivo comma 22, riferendosi piu' distintamente al «personale di cui alla legge n. 27/1981» (ossia ai magistrati), ha previsto che «non sono erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012; per tale personale, per il triennio 2013-2015, l'acconto spettante per l'anno 2014 e' pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014»; le predette disposizioni, non specificando quali siano i «conguagli» e gli «acconti» cui si riferiscono, appaiono, secondo la difesa dei ricorrenti, del tutto generiche ed inconcludenti e, come tali, inapplicabili; di conseguenza, i ricorrenti hanno chiesto che questo tribunale «accerti» che la predetta disposizione non sarebbe in grado di sortire alcun effetto sul trattamento economico dei magistrati, i cui adeguamenti retributivi devono quindi rimanere inalterati; 3) Illegittimita' costituzionale del comma 22, secondo periodo, dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, come convertito nella legge 30 luglio 2010 n. 122: detta norma stabilisce che «l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1991, n.27 spettante negli anni 2011 2012 e 2013, e' ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013»; in relazione al carattere di questa «indennita' speciale», che costituisce una voce fissa delle retribuzione e che presenta carattere ristorativo degli oneri che i magistrati incontrano nello svolgimento della loro attivita', il taglio su di essa operato sarebbe contrario alla Costituzione, facendo venir meno quella astratta correlazione fra l'indennita' in parola e gli specifici e particolari oneri connessi alla funzione giurisdizionale, come da sempre precisato nella giurisprudenza costituzionale ed amministrativa: ne risulterebbero violati gli artt.3, 36, 53 e 97 della Costituzione. Contestualmente al ricorso e' stata presentata istanza di sospensione degli effetti delle disposizioni contestate. Le Amministrazioni intimate si sono costituite contestando la fondatezza del ricorso. In particolare, la difesa erariale ha sottolineato come le norme di legge oggetto delle censure avversarie si inseriscano nell'ambito di un complesso di misure volte al contenimento della spesa in materia di pubblico impiego «in considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea», secondo quanto recita il comma 2 dell'art. 9 in esame. Nell'ambito di tale finalita', il legislatore avrebbe legittimamente riconosciuto che anche il personale di magistratura dovesse, al pari del restante personale statale, concorrere al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, attraverso misure che attengono direttamente al rapporto di impiego e non all'esercizio delle funzioni giurisdizionali, rispetto alle quali, pertanto, non si ravviserebbe violazione dei principio di autonomia e indipendenza della magistratura, trattandosi, oltretutto, di misure simili ad altre gia' adottate in precedenti leggi di risanamento. Con ordinanza n. 159, resa nella camera di consiglio dell'11 maggio 2011, questo tribunale ha respinto la domanda incidentale di misure cautelari, disponendo, con lo stesso provvedimento, adempimenti istruttori a carico dell'Amministrazione finanziaria, di quella della Giustizia e dell'INPDAP. All'esito, i ricorrenti hanno depositato articolata a puntuale memoria di replica. All'udienza pubblica del 21 dicembre 2011, la causa e' stata trattenuta in decisione. II. I ricorrenti, nella sopraspiegata qualita', hanno agito in giudizio per il riconoscimento del diritto al trattamento retributivo asseritamente spettante senza tener conto delle riduzioni conseguenti alle contestate misure normative, e la condanna delle Amministrazioni resistenti alle conseguenti restituzioni. II.1) In punto di rilevanza, osserva il Collegio che l'applicazione delle norme in questione ha comportato, a partire al 1° gennaio 2011, come dimostrato dagli esibiti cedolini relativi agli stipendi, le lamentate trattenute sugli stipendi dei ricorrenti, non rivalutati rispetto agli anni passati. Una volta dimostrata, dunque, l'applicabilita' delle misure in questione ai ricorrenti, magistrati ordinari, l'affermazione del riconoscimento delle differenze retributive richieste non puo' che passare attraverso la eliminazione delle norme in via incidentale prospettate come non conformi ai precetti costituzionali, salvo il giudizio di non manifesta infondatezza di cui piu' sotto si dira'. II.2) Va ancora doverosamente evidenziato che il Collegio non nasconde (e non si nasconde) che la manovra in questione si inserisce nell'ambito di un ampio ed articolato pacchetto di misure volte a realizzare il contenimento della spesa in materia di impiego pubblico (ovvero, alternativamente o cumulativamente, a conseguire entrate di misura corrispondente) «in considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea» (cfr. articolo 9, comma 2, della legge in esame) e che disposizioni del genere erano state emanate, anche in precedenza, in occasione di consimili emergenze di carattere economico (cfr. art. 1, comma 576, legge n. 296/2006; art. 69, d.l. n.112/2008, convertito in legge n. 133/2008; art. 7, d.l. n. 384/1992, convertito in legge n. 438/1992). In relazione a tali emergenze, la Corte costituzionale, com'e' noto, ebbe a dichiarare la manifesta infondatezza delle questioni sollevate, tenuto conto del fatto che, in un momento assai delicato per la vita economico-finanziaria del Paese, norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all'art. 3 della Costituzione sotto il duplice aspetto della non contrarieta' sia al principio di uguaglianza sostanziale sia a quello della non irragionevolezza (Corte cost., 14. luglio 1990, n. 299). La decisione della Corte, dunque, dipese dal risultato del bilanciamento tra diversi valori tutti rilevanti sul piano costituzionale, operato con riferimento alla concreta incidenza delle misure sulle varie categorie, sulla natura eccezionale (e temporanea) delle stesse, sulla complessiva tenuta dell'ordinamento pur in presenza di disposizioni derogatrici siffatte. Ritiene il Collegio che, nel rispetto doveroso delle prerogative della Corte, cui e' rimesso il definitivo orientamento sulla questione, il bilanciamento ritenuto concludente nei precedenti esaminati non sia completamente sovrapponibile alla fattispecie in esame, caratterizzata dalla peculiare e del tutto singolare incidenza delle disposizioni su particolari categorie di dipendenti pubblici (i magistrati) in misura e secondo modalita' diverse dagli altri e in assenza di misure compensative della prospettata temporanea incisione, pur tuttavia articolata su un periodo tutt'altro che breve o nell'ottica della misura adottata una tantum. Tanto porta a dubitare, nella prospettiva della delibazione di «non manifesta infondatezza» rimessa a questo Collegio, della natura «eccezionale», e dunque tollerabile, della lesione introdotta e dunque del complessivo bilanciamento ritenuto, a suo tempo e relativamente a disposizioni simili ma non affatto cosi' «singolari», compatibile con i valori costituzionali dalla Corte. II.3) Ancora in via preliminare, il Collegio ritiene di articolare la questione sotto due distinti ed alternativi profili, valorizzando sostanzialmente: o l'incidenza delle misure, nel loro concreto atteggiarsi, sullo status dei magistrati e sulle prerogative loro riconosciute dalla Costituzione; ovvero gli effetti, in ultima analisi, sostanzialmente impositivi delle misure, ancora nel loro concreto dispiegarsi. Cio' spiega l'apparente anfibologia della presente ordinanza, che, appunto, in via alternativa prospetta l'illegittimita' costituzionale delle contestate disposizioni sia se intese come norme «sulla spesa», e dunque in definitiva orientate alla riduzione (temporanea) dei trattamenti retributivi complessivamente considerati dei magistrati, sia (ovvero) se intese invece come norme sulle «entrate» e dunque incidenti sul trattamento contributivo dei redditi da lavoro dipendente in questione. L'alternativa prospettazione tradisce in realta' lo sforzo di attribuire, alle disposizioni in esame, un senso compatibile con l'articolato costituzionale; sforzo il cui fallimento non puo' che condurre all'obbligata remissione in esame. III. Ai fini della compiuta ricostruzione della presente vicenda, giova preliminarmente richiamare sinteticamente il quadro normativo pertinente. III.1) Il trattamento economico dei magistrati ordinari (ma anche amministrativi e della giustizia militare) e' disciplinato dalla legge 2 aprile 1979, n. 97 che, con effetto del 1° gennaio 1979, lo ha rideterminato nella misura indicata, per ciascuna qualifica, nelle tabelle allegate ad essa (lo stipendio tabellare, per l'appunto) e che ha altresi' precisato che a tale misura vanno aggiunte le sole indennita' integrativa speciale e giudiziaria, quest'ultima, a sua volta, disciplinata dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27. Gli artt. 11 e 12 della legge n. 97 del 1979, nel testo novellato dall'art. 2 della citata legge n. 27 del 1981, prevedono che: gli stipendi dei magistrati sono adeguati di diritto, ogni triennio, nella misura percentuale pari alla media degli incrementi delle voci retributive, esclusa l'indennita' integrativa speciale, ottenuti dagli altri pubblici dipendenti (appartenenti alle amministrazioni statali, alle aziende autonome dello stato, universita', regioni, province e comuni, ospedali ed enti di previdenza); la percentuale spettante e' calcolata dall'Istituto centrale di statistica rapportando il complesso del trattamento economico medio per unita' corrisposto nell'ultimo anno del triennio di riferimento al trattamento economico medio dell'ultimo anno del triennio precedente, ed ha effetto dal 1° gennaio successivo a quello di riferimento; gli stipendi al 1° gennaio del secondo e del terzo anno di ogni triennio sono aumentati, a titolo di acconto, sull'adeguamento triennale, per ciascun anno e con riferimento sempre allo stipendio in vigore al 1° gennaio del primo anno, per una percentuale pari al 30 per cento della variazione percentuale verificatasi fra le retribuzioni dei dipendenti pubblici nel triennio precedente, salvo conguaglio, a decorrere dal 1° gennaio del triennio successivo; la percentuale dell'adeguamento triennale e' determinata entro il 30 aprile del primo anno di ogni triennio con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro della Giustizia e con quello del Tesoro; a tal fine, entro il mese di marzo, l'ISTAT comunica la variazione percentuale di cui sopra. La legge 6 agosto 1984, n. 425, all'art. 3, ha stabilito che dal 1° luglio 1983 la progressione economica degli stipendi dei magistrati si sviluppa in otto classi biennali del 6% da determinarsi sullo stipendio iniziale di qualifica o livello retributivo, nonche', allo scadere del dodicesimo anno, in successivi aumenti biennali del 2.50% da calcolare sull'ultima classe di stipendio. L'art. 51 del d.lgs. 5 aprile 2006, n.160, di profonda modifica della disciplina dell'accesso in magistratura nonche' in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 30 luglio 2007, n. 111, ha confermato integralmente il complesso e risalente sistema di determinazione del trattamento stipendiale di magistrati, precisando espressamente che «continuano ad applicarsi tutte le disposizioni in materia di progressione stipendiale dei magistrati ordinari e, in particolare, la legge 6 agosto 1984, n. 425, l'articolo 50, comma 34, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, l'adeguamento economico triennale di cui all'articolo 24, commi 1 e 4 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, della legge 2 aprile 1979, n. 97 e della legge 19 febbraio 1981, n. 27, e la progressione per classi e scatti, alle scadenze temporali ivi descritte e con decorrenza economica del primo giorno del mese in cui si raggiunge l'anzianita' prevista». Il comma 12 dell'art. 11 dello stesso d.lgs. n. 160 del 2006 ha poi stabilito che una valutazione negativa di professionalita' - alla quale sono sottoposti con cadenza quadriennale tutti i magistrati ordinari, a decorrere dalla data di nomina e fino al superamento della settima valutazione di professionalita' - comporta «la perdita del diritto all'aumento periodico di stipendio per un biennio». III.2) La disamina della complessa disciplina sopra sinteticamente enunciata consente di argomentare che, alla stregua del quadro normativo risultante prima della entrata in vigore della legge in esame: la determinazione degli stipendi spettanti ai magistrati e' sottratta a qualsiasi genere di contrattazione, essendo essa assoggettata ad un «sistema automatico», regolato direttamente dalla legge, al fine, ripetutamente sottolineato dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativo, «di attuare il precetto costituzionale dell'indipendenza e di evitare che essi (i magistrati) siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri», nonche' di «assicurare la completa autonomia ed indipendenza dei giudice dall'esecutivo» (cfr. Corte costituzionale, 27 luglio 1995, n. 409; id. 10 febbraio 1993, n. 42; Cons. di Stato, sez. IV, 20 marzo 2006, n. 1472); il riportato «sistema automatico» stabilisce la misura dell'adeguamento triennale degli stipendi del personale della magistrature basandosi su un indice statistico, espressamente definito «ragionevole e non arbitrario», perche' l'adeguamento triennale e' calcolato non sulla sommatoria di tutti gli incrementi retributivi intervenuti ma «soltanto sulla loro media, rapportando il complesso del trattamento economico medio per unita' corrisposto nell'ultimo anno del triennio di riferimento a quello dell'ultimo anno del triennio precedente. Gli incrementi retributivi realizzati nel triennio precedente da tutti gli altri dipendenti pubblici non rilevano pertanto come accertamento della quantita' della maggiore retribuzione automaticamente dovuta anche ai magistrati, ma esclusivamente quali indici ai fini della determinazione della giusta retribuzione spettante a questi ultimi dal primo gennaio dell'anno successivo al triennio di riferimento» (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, n. 1472/2006, cit.); a tal fine, il sistema in esame stabilisce che dapprima siano rilevati gli incrementi retributivi gia' erogati ai dipendenti pubblici, che sia poi calcolata la variazione percentuale ed infine che la determinazione del nuovo incremento degli stipendi avvenga con l'emanazione di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il nuovo trattamento stipendiale, adeguato in virtu' della variazione percentuale, ha effetto solo dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento; il sistema di adeguamento, dunque, e' un criterio di determinazione stipendiale indiretto e per relationem, con riferimento alle complessive politiche retributive degli altri settori del pubblico impiego, di cui il suesposto meccanismo rappresenta tuttavia un indice rilevatore di variazioni sistemiche gia' intervenute e di cui si deve tener conto per assicurare che anche lo stipendio erogato ai magistrati risponda ai principi fissati nell'art. 36 della Costituzione: il decreto triennale del Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, «non rappresenta una mera ricognizione degli incrementi retributivi gia' maturati nel triennio precedente in favore dei magistrati, ma e' il provvedimento costitutivo del diritto al nuovo trattamento stipendiale attuale» (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, cit.); gli andamenti retributivi degli stipendi dei magistrati sono dunque solo il riflesso di quelli piu' generali gia' verificatisi per il restante pubblico impiego, di cui scontano eventuali virtuosita' o lassismi nelle politiche retributive e non rappresentano, di per se', alcun privilegio distintivo; il meccanismo di andamento si correla a precisi e svariati valori costituzionali, in primis su quelli di cui agli artt. 101, comma 2, 104, comma 1, e 36, rispetto ai quali va verificata e rapportata anche la dichiarata primaria esigenza di ripiano dei conti pubblici; il sistema retributivo dei magistrati non e' affatto insensibile alle congiunture economiche ricadenti sul complessivo assetto retributivo dell'impiego pubblico; ove tale assetti) dovesse, per avventura, risultare penalizzante per i pubblici impiegati (in forza di eventuali ulteriori misure restrittive e di ulteriori «tagli»), analoga ma «proporzionale» decurtazione ricadrebbe, proprio per effetto del suesposto meccanismo di automatico adeguamento, anche sul trattamento economico dei magistrati, ferma restando (rectius, dovendo rimanere) la costante del rapporto fissato sulle eventuali variazioni proprio dal suesposto meccanismo normativo; con l'effetto del tutto evidente di mantenere appunto invariato, si badi anche in caso di generalizzata diminuzione degli stipendi dei pubblici impiegati, il rapporto rispetto alle retribuzioni assicurate, dalle fonti anche costituzionali richiamate, ai magistrati. III.3) Alla stregua delle coordinate ermeneutiche sopra richiamate, mentre non e' dubbio che qualsiasi normativa incidente sulle retribuzioni dei magistrati, stante la valenza costituzionale di tale assetto, vada riguardato sotto la lente del rispetto dei delicati equilibri finora garantiti dal sistema previgente, la disciplina introdotta nel 2010 con i commi 2, 21 e 22 dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 appare, per converso, non affatto orientata al mantenimento di detti equilibri retributivi, ingenerando effetti penalizzanti solo sulla categoria dei magistrati e come tali non ragionevoli, sia ove si considerino tali effetti sui meri trattamenti retributivi, sia - piu' marcatamente - ove si osservi la ratio di prelievo eccezionale imposto ancora una volta solo ai magistrati e dunque in violazione delle regole costituzionali che assistono la materia tributaria. III.4) Appare utile, a questo punto, rappresentare come incide sullo stipendio dei magistrati, stabilito dalla legge e rideterminato periodicamente in base al sistema «automatico» sopra descritto, la complessa disciplina introdotta nel 2010 con i commi 2, 21 e 22 dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78. Le disposizioni in questione (contenute, come detto nel d.l. 31 maggio 2010, n. 76, titolato «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica») testualmente sanciscono, all'art. 9 («Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico»): «In considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013, i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.0000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento economico complessivo non puo' essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui; le indennita' corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri di cui all'art. 14, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 sono ridotte del 10 per cento; la riduzione si applica sull'intero importo dell'indennita'. Per i procuratori ed avvocati dello Stato rientrano nella definizione di trattamento economico complessivo, ai fini del presente comma, anche gli onorari di cui all'articolo 21 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611. La riduzione prevista dal primo periodo del presente comma non opera ai fini previdenziali. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2013, nell'ambito delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modifiche e integrazioni, i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari degli incarichi dirigenziali, anche di livello generale, non possono essere stabiliti in misura superiore a quella indicata nel contratto stipulato dal precedente titolare ovvero, in caso di rinnovo, dal medesimo titolare, ferma restando la riduzione prevista nel presente comma. Per il personale di cui alla legge n. 27/1971 non sono erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2013; per tale personale, per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 e' pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014. Per il predetto personale l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011, 2012 e 2013 e' ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013. Tale riduzione non opera ai fini previdenziali. Nei confronti del predetto personale non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 21, secondo e terzo periodo». Per tutte le categorie del personale delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (e quindi anche per i magistrati), quindi, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 il trattamento economico complessivo superiore a 90.000 euro lordi e' ridotto del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo e fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro (comma 2 dell'art. 9). Per tutte le categorie del personale non contrattualizzato della pubblica amministrazione (che ricomprenderebbero, astrattamente, anche i magistrati) e' stato introdotto il blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo per gli anni 2011, 2012 e 2013, la cui operativita' e' estesa sia a livello di acconto che a livello di conguaglio (comma 21, primo periodo, dell'art. 9). Per i soli magistrati e' stato poi previsto il blocco degli acconti per gli anni 2011, 2012 e 2013 e dei conguagli per il triennio 2010-2012 (comma 22, primo periodo, dell'art. 9). Per i soli magistrati e' stato, altresi', previsto un «tetto» per l'acconto per anno 2014 (che non puo' superare quello dell'anno 2010) ed un «tetto» per il conguaglio dell'anno 2015, che sara' determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014, escludendo pertanto il triennio 2011-2013 (comma 22, primo periodo, dell'art. 9). Per i soli magistrati e' stata stabilita la riduzione annualmente progressiva (pari al 15, al 25 e al 32 per cento), nel triennio 2011-2013, dell'indennita' giudiziaria di cui all'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (comma 22, secondo periodo, dell'art. 9). Infine, per i soli magistrati, a differenza delle altre categorie del personale non contrattualizzato, sono stati salvaguardati i meccanismi di progressione automatica dello stipendio per gli anni 2011-2013 (ossia le classi e gli scatti di carriera ex comma 22, quarto periodo, che richiama ad excludendum il secondo e il terzo periodo del comma 21 dell'art. 9). III.5) In relazione all'applicazione, in concreto, delle sopra riportate misure ed al loro concreto impatto sui saldi del bilancio pubblico, la Ragioneria generale dello Stato ha spiegato che la riduzione e' applicata al trattamento economico complessivo, nel quale sono comprese tutte le componenti del trattamento annuo lordo (fondamentali e accessorie, fisse e variabili) e quindi le seguenti voci retributive: stipendio, con relativa progressione automatica per classi e scatti, indennita' integrativa speciale e indennita' giudiziaria (quest'ultima, nelle misure gia' ridotte ai sensi del comma 22 dell'art. 9); le ritenute previdenziali a carico del lavoratore e del datore di lavoro sono applicate sul trattamento economico interamente spettante, senza quindi considerare le riduzioni retributive introdotte dalla legge; il trattamento economico annuo lordo cosi' determinato e' la base di calcolo delle decurtazioni percentuali da applicare per la parte eccedente gli importi stabiliti dalla disposizione in esame; piu' precisamente, la base di calcolo e' determinata dal «trattamento economico complessivo annuo del singolo dipendente», sul quale devono essere quindi considerate le variazioni che intervengano per il singolo anno di riferimento. Per quanto riguarda la mancata erogazione degli acconti e dei conguagli per gli anni 2011, 2012 e 2013, come stabiliti dagli artt. 11 e 12 della legge n. 197 del 1979 (comma 22, primo periodo, dell'art. 9 del d.l. n.78), la Ragioneria generale dello Stato ha puntualizzato che il personale di magistratura, nel triennio di riferimento, avrebbe conseguito: nell'anno 2011 la corresponsione del secondo acconto, pari al 3.04%, come gia' determinato con d.P.C.m. 23 giugno 2009 (con misure che variano in concreto in relazione alle qualifiche; nell'anno 2012 non sarebbe stato erogato alcun conguaglio, tenuto conto della crescita contenuta registrata nel triennio di riferimento delle retribuzioni del pubblico impiego preso a riferimento; nell'anno 2013 la corresponsione del primo acconto (e dunque la misura della mancata erogazione di tale voce prevista nella disposizione in esame) varia in relazione alle qualifiche. Con riguardo al prospetto comparativo degli andamenti stipendiali nel quadriennio 2010-2013, la tabella n. 1 allegata alla relazione del MEF rivela i seguenti dati negativi: i magistrati di qualifica apicale subiscono nel 2011 una decurtazione di oltre 10.000 euro annui rispetto al 2010, unico parametro temporale di riferimento significativo e costante in quanto anteriore alla manovra de qua, una riduzione di 7.000 euro annui nel 2012 e di oltre 1.000 euro nel 2013, con una perdita complessiva di oltre 18.000 euro nel periodo; a loro volta i magistrati di qualifica iniziale nel 2011 si vedono prelevati 500 euro annui nel 2011, 600 euro nel 2012 e poco meno di 200 euro nel 2013, con un prelievo complessivo nell'intero periodo di circa 1.300 euro. Con riguardo alla richiesta di «un analitico e dettagliato prospetto comparativo sui concreti livelli retributivi complessivi dei dirigenti del MEF titolari di uffici di livello dirigenziale generale, (equiparati a superiori), come espressamente richiesto con l'ordinanza istruttoria di questo Tribunale, giova evidenziare che il Ministero, pur non avendo in realta' indicato le concrete retribuzioni del suo personale dirigenziale, ha rappresentato, con le precisazioni fornite relative alle vigenti articolazioni in fasce distinte del personale dirigente, che, per gli anni relativi al triennio 2011-2013, la componente stipendiale risulta incrementata limitatamente alla corresponsione dell'indennita' di vacanza contrattuale; inoltre, la retribuzione media del dirigente di 3 fascia subisce una decurtazione costante annua, sino al 2013, di circa 10.000 euro, mentre per la dirigenza di II fascia si registra al contrario un leggero incremento constante nel triennio. Il Ministro della Giustizia e l'INPDAP hanno dato riscontro alle richieste istruttorie inoltrate, comunicando il dettaglio del personale di magistratura collocato in quiescenza in occasione delle misure restrittive e l'importo complessivo delle indennita' di buonuscita erogate al personale di magistratura collocato anticipatamente in quiescenza per effetto di domanda presentata nell'anno 2010 nonche' l'importo complessivo delle pensioni previste per il medesimo personale dal 2011 al 2013. In conclusione, quanto agli effetti di risparmio per i bilancio dello Stato derivanti dall'introduzione dei tagli stipendiali in oggetto, essi ammontano a 41.631.937 euro per il mancato adeguamento della retribuzione (blocco degli acconti e del conguaglio), circa 21 milioni, 35 milioni e 45 milioni di euro, rispettivamente per i tre anni 2011, 2012 e 2013, per il prelievo di parte dell'indennita' giudiziaria; 21,286.580 euro, in misura costante per il triennio 2011-2013, per il prelievo del 5% e del 10%. A fronte di tali risparmi, si deve pero' registrare, ai fini della diminuzione della spesa pubblica, che la somma complessiva che si e' dovuto erogare un un'unica soluzione nel 2010 al personale anticipatamente esodato e' stata, come visto, pari a circa 59 milioni di euro. Puo' dunque concludersi, in punto di fatto: che i tagli stipendiali incidono, in misura piu' o meno significativa, su tutte le qualifiche magistratuali; dal raffronto con le tavole stipendiali della dirigenza, emerge che quantomeno quella di II fascia non risulta toccata dalla manovra, mentre l'analoga qualifica magistratuale di magistrato di I valutazione perde oltre 600 euro annui. Gli effetti positivi sulla diminuzione dell'indebitamento pubblico devono, come si e' sopra detto, essere compensati in diminuzione del maggiore esborso per indennita' di buonuscita correlate a collocamenti a riposo anticipati. IV. Va, ancora in via preliminare, e ancora in punto di rilevanza, osservato che, pur potendosi evidenziare un'inesattezza nel primo periodo del comma 22 dell'art. 9 del d.l. n.78 in esame, laddove e' prevista la mancata corresponsione degli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013, in quanto nell'anno 2012 non sarebbe stato comunque corrisposto al personale di magistratura alcun acconto, ma piuttosto il conguaglio della variazione triennale relativa agli anni 2009-2011, il senso complessivo della norma non risulta affatto incerto, ambiguo o poco chiaro, ne' possono sorgere dubbi interpretativi in sede applicativa, come evidenziato dalla relazione della Ragioneria generale dello Stato, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa ricorrente; il secondo motivo di ricorso, anche nella prospettiva di una interpretazione costituzionalmente orientata, non puo' dunque essere favorevolmente apprezzato perche' palesemente infondato. IV.1) Il gia' citato art. 2 della legge n. 27/1981 indica invero con chiarezza che il meccanismo di dinamica retributiva del personale di magistratura prevede un adeguamento triennale sulla base degli incrementi conseguiti nel precedente triennio dalle altre categorie del pubblico impiego che si realizza mediante due acconti di pari importo nel secondo e nel terzo anno del triennio ed un successivo conguaglio, con la conseguenza che, esplicitamente definiti gli ambiti di operativita' dei detti acconti e conguagli, risulta del tutto palese e incontestabile tanto la voluntas legis sottesa al comma 22 quanto il suo ambito operativo. IV.2) Ne risulta dunque la evidente rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata con i restanti motivi di ricorso (come sopra detto incentrati proprio sulla prospettata irragionevolezza e contrarieta' a Costituzione della normativa sopravvenuta, commi 2, 21 e 22 dell'art. 9 del d.l. n.78 del 2010), questione che, ad avviso del Collegio, non e' manifestamente infondata per quanto sotto si dira', come del resto gia' rilevato da vari tribunali amministrativi regionali (TAR Campania, sez, Salerno, sez. I, ordinanza n. 1162 del 23 giugno 2011; TAR Piemonte, sez. II, ordinanza n. 846, del 28 luglio 2011, TAR Veneto, sez. I, ordinanza n. 1685, del 15 novembre 2011; TAR Sicilia, Palermo, ordinanza n. 2375 del 14 dicembre 2011). In punto di rilevanza, ancora, l'interesse dei ricorrenti a mantenere il trattamento retributivo assicurato dal precedente sistema e' leso dalla immediata applicazione delle norme di cui al comma 22 dell'art. 9 del d.l. n. 78/2010; quelle di cui al comma 21, primo periodo, dello stesso articolo si presentano di applicazione certa in caso di caducazione del comma 22, perche' comprendono tutte le categorie del personale non contrattualizzato; a decorrere dal 1° gennaio 2011 i ricorrenti hanno visto inciso il loro trattamento economico, sia per quanto concerne il mancato incremento del 3.04 % della voce stipendio, sia perche' e' stata operata la riduzione dell'indennita' giudiziaria nella misura lorda di 167,75 euro mensili (cfr. allegate copie dei cedolini degli stipendi relative ai mesi di dicembre 2010, gennaio e febbraio 2011). Come evidenziato dal prospetto fornito dalla Ragioneria generale dello Stato, d'altra parte, le misure introdotte comportano una concreta incidenza degli stipendi nel senso della loro riduzione generalizzata, pur distinta per qualifiche. Il dubbio di costituzionalita' sussiste, dunque, sia con riferimento alle disposizioni contenute nel comma 22 dell'art. 9 riguardante il «blocco degli automatismi stipendiali» per il triennio 2011-2013 e l'apposizione di tetti ai medesimi (per gli anni 2014-2015) sia con riferimento a quella che introduce il taglio della indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 secondo aliquote differenti negli anni 2011, 2012 e 2013 (si tratta rispettivamente degli incisi secondo cui: a) «non sono erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2013»; b) «per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014»; c) «l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, e' ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013», con riduzione non operante ai fini previdenziali). V. In punto di non manifesta infondatezza, va evidenziato che il sistema normativo vigente ha stabilito che la retribuzione dei magistrati considerata in senso lato non presenti alcun elemento accessorio (a differenza, per esempio, della dirigenza pubblica), ma che sia composta di sole tre voci (di cui una, peraltro, a carattere meramente indennitario, come gia' detto sopra), e cioe' stipendio, indennita' integrativa speciale e c.d. «indennita' giudiziaria», secondo un sistema riconosciuto ragionevolmente attuativo dei valori costituzionali di autonomia ed indipendenza della magistratura da ogni altro potere dello Stato, sanciti in via generale dagli art. 101, comma 2 («I giudici sono soggetti soltanto alla legge»), 104, comma 1 («La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere») e 108 («Le norme sull'ordinamento giudiziario e di ogni magistratura sono stabilite con legge») della Costituzione. V.1) Non puo' in proposito essere sottaciuto che l'indipendenza della magistratura non costituisce affatto un «privilegio» dei giudici, come tale recessivo in momenti di crisi congiunturale, ma e' funzionale - nel disegno costituzionale - alla celebrazione di un giusto processo, come si evince dai commi 1 e 2 dell'art. 111 della Costituzione, secondo cui «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge» ed «ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizione di parita', davanti ad un giudice terzo ed imparziale». La «funzionalizzazione» dell'indipendenza dei magistrati alla celebrazione del giusto processo si rinviene nell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo che, per il tramite dell'art. 117, 1° comma della Costituzione, come sostituito dall'art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, e' entrata a far parte diretta del nostro tessuto costituzionale. La collocazione ordinamentale dei giudici, ossia il modo con il quale la funzione si atteggia al suo interno ed in rapporto agli altri settori del comparto pubblico, non e' evidentemente indifferente alla attuazione di tale principio, come la Corte ha avuto modo costantemente di ribadire, e neppure lo e' il profilo economico di tale collocazione, posto che la necessita' di «attuazione del precetto costituzionale dell'indipendenza dei magistrati...va salvaguardato anche sotto il profilo economico», onde evitare «tra l'altro che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri» (sentenze nn. 1/1978, 42/1993, 238/1990). Conseguentemente, il trattamento economico dei magistrati, ossia la traduzione in corrispettivo materiale della valutazione del servizio da essi prestato, non e' nella libera disponibilita' del potere legislativo e del Potere esecutivo, e non puo' essere ridotto a mero corrispettivo del rapporto di servizio nel quale, in linea teorica, rientrerebbe anche il personale di magistratura, ma e' invece (deve essere) parte integrante dell'attuazione del sopraesposto precetto costituzionale dell'indipendenza». V.2) Ritiene in proposito il Collegio che il sistema retributivo previgente alle modifiche contestate costituisca un punto ragionevole di equilibrio dei diversi valori costituzionali involti e che ogni modifica di tale sistema costituisca appunto un vulnus inferto a tale equilibrio ed imponga l'attenta verifica della ragionevolezza complessiva del risultante assetto. Che nella specie, va con chiarezza enunciato, il Collegio non individua. Il precetto dell'indipendenza anzitutto impone «garanzie» che, sul trattamento economico, si esprimono nella «certezza» e nella «continuita'» della retribuzione. Non e' dubbio, quindi, che, ove tale trattamento sia soggetto a decurtazioni, tanto piu' se irrazionali, sbilanciate, sperequative e sostanzialmente inutili, vi sarebbe un'evidente distonia rispetto alle garanzie di indipendenza e di autonomia dell'ordine giudiziario; quand'anche una decurtazione del trattamento economico dei magistrati dovesse sopraggiungere, in relazione a peculiari situazioni di emergenza, come quelle concernenti la finanza pubblica (e che, va ripetuto, non sarebbe ex se esclusa dal peculiare sistema di adeguamento automatico sopra ricostruito), sarebbe allora doveroso inserirla in un assetto da cui evincere non solo le specifiche (e non genericamente emergenziali) ragioni che spingono all'introduzione di nuovi oneri nei confronti della magistratura (che ne riducessero il proporzionale gap retributivo rispetto al restante personale pubblico), ma anche la compatibilita' di quegli oneri con i ricordati principi costituzionali, ai quali occorre aggiungere anche quello di «buon andamento» degli uffici giudiziari di cui all'art. 97 della Costituzione. Invero, il meccanismo sopra descritto, che assicura ai livelli retributivi fissati dalla legge un adeguamento «di diritto» ogni «triennio», basato sulla media degli incrementi realizzati dalle altre categorie del pubblico impiego, rappresenta un elemento intrinseco e peculiare della struttura dello stipendio, volto, secondo quanto rilevato dalla stessa Corte costituzionale in analoghi momenti storici di drammatica emergenza monetaria e finanziaria, all'«attuazione del precetto costituzionale dell'indipendenza dei magistrati, che va salvaguardata anche sotto il profilo economico» (cfr. sentenza 16.1.1978, n.1) e ad evitare, «tra l'altro, che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri» (cfr. sentenza 10 febbraio 1993, n. 42), cosi' concretizzando «una guarentigia idonea a tale scopo» (cfr. sentenza 8 maggio 1990, n. 238), e, sotto diverso profilo, un ragionevole bilanciamento tra i diversi interessi involti difficilmente modificabile. V.3) Non e' superfluo evidenziare che lo specifico status del magistrato, come gia' evincibile dal sistema costituzionale interno, e' stato fatto proprio anche dall'ordinamento comune internazionale che, nella prospettiva di garantire il giusto processo, e quindi ancora nell'ottica della funzionalizzazione a tale prospettiva dello status del giudice, ha ritenuto, nello specifico, che la retribuzione dei magistrati debba essere «commisurata al loro ruolo professionale ed alle loro responsabilita'» ed in ogni caso tale da «renderli immuni da qualsiasi pressione volta ad influenzare le loro decisioni»; con l'invito rivolto agli Stati membri «ad adottare specifiche disposizioni di legge per garantire che non possa essere disposta una riduzione delle retribuzioni rivolta specificamente ai giudici» (cfr. Raccomandazione CM/Rec (2010) 12 sui giudici: indipendenza, efficacia e responsabilita', atto di soft-law adottato a Strasburgo dal Comitato dei Ministri il 17 novembre 2010, in particolare punto 54). V.4) A cio' consegue che l'applicazione del primo periodo del comma 22 dell'art. 9, che impone di non erogare: l'acconto 2011 (il che si traduce nel diniego, posto con norma primaria, di corrispondere somme certe, liquide ed esigibili perche' gia' quantificate con il ricordato d.P.C.m. 23 giugno 2009, costitutivo del relativo diritto patrimoniale); l'eventuale conguaglio 2012; il prossimo acconto 2013; senza alcuna possibilita' di recupero delle relative somme, lede non solo il dato testuale delle ricordate norme costituzionali di cui agli artt. 101, 104 e 108, ma soprattutto i principi e i valori sottesi ad esse, funzionali all'indipendenza e l'imparzialita' del giudice, che costituiscono presupposto e requisito essenziale di ogni giusto processo di cui agli artt. 24, 101 e 111 della Costituzione (cfr. sentenza 7 ottobre 1999, n. 381). V.5) Va inoltre evidenziato che l'automatismo che garantisce la periodica quantificazione in concreto del trattamento economico dei magistrati configura un sistema, disciplinato con legge ordinaria emanata a seguito degli accurati e approfonditi procedimenti parlamentari, oltre a non richiedere periodici interventi, normativi ovvero contrattuali, per adeguare nel tempo le retribuzioni secondo intenti permanentemente conservativi e non lucrativi, realizza il tendenziale equilibrio tra la pluralita' dei poteri dello Stato perche' non comporta la subordinazione di uno di essi agli altri, secondo quanto rilevato ripetutamente dalla ricordata giurisprudenza costituzionale e amministrativa. Percio', i prelievi introdotti con i commi 22 e 21 (rispettivamente in via primaria ed alternativa) dell'art. 9 del d.l. n. 78, qui contestati, che blocca il meccanismo garantista dell'adeguamento automatico della retribuzione, sostanzialmente operano un indebito condizionamento all'esercizio della funzione giurisdizionale, intaccando sia l'indipendenza funzionale che quella organica. V.6) Non ignora questo Collegio gli orientamenti espressi dalla Corte con riguardo a precedenti manovre incidenti sugli aspetti retributivi dei pubblici dipendenti (e, quindi, anche dei magistrati), dei quali si e' ritenuta la costituzionalita'. In occasione della ricorrenti manovre di finanza pubblica di carattere emergenziale, il giudice delle leggi ha rilevato come le stesse fossero state emanate in momenti assai delicati per la vita economico-finanziaria del Paese e caratterizzati dalla necessita' di recuperare l'equilibrio di bilancio, giustificante l'imposizione «a tutti» di sacrifici anche onerosi, purche' non lesivi del principio di cui all'art. 3 della Costituzione (sotto il duplice sospetto della non contrarieta' sia al principio di uguaglianza sostanziale sia a quello della non irragionevolezza), a «condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso» (cfr. sentenza 14 luglio 1999, n. 299, 18 luglio 1997, n. 245). In tale comprensibile logica, e' chiaro che i ricordati principi costituzionali che tutelano l'autonomia e l'indipendenza della Magistratura possano (e debbano) essere bilanciati con altri valori costituzionali in ipotesi configgenti nella continua e costante ricerca dell'equilibrio consentito dall'evoluzione del sistema, e fra questi ben puo' esservi, specie in momenti congiunturali di crisi economica, quello del rispetto delle esigenze di bilancio e di contenimento della spesa pubblica nei limiti delle risorse finanziarie attingibili. Ma e' proprio in questi casi che occorre una piu' rigorosa verifica della complessiva ragionevolezza del nuovo «equilibrio indotto», sicche', ove il legislatore decida di intervenire sui meccanismi retributivi dei magistrati, deve in primo luogo farlo in uno scenario di coinvolgimento di tutti i soggetti (che diventano contribuenti) secondo i principi apicali di pari capacita' contributiva e progressivita' dei cui all'art. 53 della Costituzione e comunque nella misura e per il tempo strettamente necessari alle contingenze finanziarie legittimanti l'intervento, nel rispetto dei principio di proporzionalita', ragionevolezza e di eguaglianza. Va da se' che il citato art. 53 viene qui in rilievo solo al fine di rappresentare la complessiva irragionevolezza dell'intervento normativo se inteso come finalizzato al reperimento di risorse sub specie di risparmio di spesa e non gia' sotto il diverso profilo, che piu' sotto si esaminera', della possibile incostituzionalita' delle disposizioni in esame, ove qualificate di natura tributaria. Nella prospettiva fin qui seguita, la manovra in esame e' irragionevole perche' solo apparentemente temporanea, in quanto si traduce in un riassetto negativo dell'intero sistema stipendiale della magistratura, secondo una logica perennemente emergenziale non incidente su alcun problema strutturale e culturale del «sistema Italia»; come le percussive ad ancora contingenti manovre successive hanno dimostrato; ed e' irragionevole perche' si volge esclusivamente nei confronti dei magistrati di cui modificano lo status senza la contestuale adozione di una riforma organica e razionale della materia regolata dalla legge n. 27/19881 e dettata in attuazione diretta degli artt. 101 e 104 della Costituzione. E non e' dubbio che la politica dei tagli lineari, adottata nella specie, e' /quella che meno si attaglia ad un settore per sua natura qualificato da delicatissimi equilibri qual e' quello della definizione dei rapporti tra poteri e funzioni dello Stato, senza considerare che l'incisione del solo aspetto retributivo, nel contesto dell'ordinamento giudiziario, non compensato da misure migliorative dello status, finisce per riposizionare la funzione magistratuale in senso deteriore, con ulteriore sbilanciamento vulnerante la faticosa posizione di indipendenza in precedenza acquisita. V.7) Inoltre, le norme censurate hanno sicuramente operato una compressione dei valori costituzionalmente garantiti in maniera del tutto irrazionale, sproporzionata e discriminatoria, ove si tenga conto del fatto che le stesse: incidono i magistrati diversamente da altri contribuenti aventi pari capacita' contributiva; incidono i magistrati diversamente da altri contribuenti aventi pari capacita' di reddito da lavoro (autonomo e privato); incidono i magistrati diversamente nei confronti dei pubblici dipendenti aventi pari capacita' di reddito da lavoro; incidono i magistrati senza apportare risorse consistenti alle casse dello Stato (laddove un diverso intervento, spalmato su tutti i contribuenti, avrebbe potuto apportare risorse certamente piu' consistenti e piu' idonee alla dichiarata finalita' di risanamento del bilancio); incidono i magistrati in maniera irragionevole al loro interno, finendo per avere carattere piuttosto di regressivita', incidendo in maniera piu' che proporzionale sugli stipendi piu' bassi con effetti di mera causalita', imprevedibilita' ed illogicita'; altera il rapporto di proporzionalita' tra prestazione e retribuzione, incidendo in maniera proporzionalmente maggiore sui magistrati percettori di reddito inferiore; incide irragionevolmente sui diritti quesiti. Tutte considerazioni fatte, in questa sede, al fine di corroborare il dubbio di costituzionalita' con riferimento alle prospettata lesione delle prerogative dell'indipendenza della magistratura. V.8) La verifica di conformita' costituzionale della manovra in questione si impone dunque per la ineludibile necessita' di definire con esattezza la misura della possibile incidenza del legislatore sul sistema retributivo della magistratura, diversamente esposta ad ulteriori future misure pretesamente «emergenziali». VI. Sotto un diverso profilo, il Collegio rileva che alla sospetta violazione dei principi di indipendenza e di imparzialita' del giudice si associa, peraltro in stretta connessione, la possibile violazione di principi di proporzionalita' e di adeguatezza retributiva posti dall'art. 36 della Costituzione. VI.1) La retribuzione dei magistrati, stabilita con legge formale ed aggiornata, solo di riflesso e per relationem, con l'automatismo sopra delineato, e' rappresentata da un importo fisso e invariabile correlato non solo alla generica quantita' e qualita' delle funzioni ed incarichi singolarmente svolti ma anche al ruolo istituzionale e costituzionale cui essi sono preordinati. La citata norma costituzionale assume per la magistratura una valenza particolare, per la quale l'adeguatezza e la proporzionalita' sono riferite a specifiche funzioni e a correlate qualifiche di rilievo costituzionale, delle quali il legislatore ha tenuto conto nel delineare i corrispondenti meccanismi retributivi, sicche' «una diminuzione, per qualsiasi causa, del trattamento retributivo rompe la proporzionalita' e infrange quindi la norma costituzionale» (sentenza 5 febbraio 1975, n. 24). VI.2) Quanto, in particolare, all'indennita' speciale (c.d. indennita' giudiziaria) di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, per la quale il secondo periodo del comma 22 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 prevede la riduzione del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013, il Collegio deve anzitutto rammentare che la ratio di questa voce, entrata a far parte della retribuzione in senso lato dei giudici, consiste nella compensazione degli specifici oneri, anche di matura economica, gravanti sul magistrato. Il fondamento della c.d. indennita' giudiziaria e', infatti, rinvenibile in un predeterminato «rimborso spese», quantificato in misura uguale per tutti i magistrati investiti di funzioni giurisdizionali a prescindere dall'anzianita', dalle funzioni e dalla qualifica rivestita (e non corrisposta durante il periodo di congedo straordinario per malattia), espressamente correlata ai particolari oneri che i magistrati incontrano nello svolgimento della loro attivita', la quale tra l'altro comporta un impegno senza precisi limiti temporali, dal che discende, tra l'altro un rigoroso collegamento con il servizio effettivamente prestato (cfr. sentenza 8 maggio 1990, n. 238). Tale indennita' «ha mantenuto, sia dalla sua istituzione, connotati peculiari perche' assoggettata al meccanismo di rivalutazione automatica previsto per gli stipendi dei magistrati (ed avvocati dello Stato) dal precedente art. 2 della legge n. 27 del 1981 e tale rivalutazione si ispira al precetto costituzionale dell'indipendenza dei magistrati, costituendo una guarentigia idonea a tale scopo» (ordinanza 23 ottobre 2008, n. 246). Il prelievo forzoso conseguente all'applicazione della normativa censurata, che cresce progressivamente negli anni, appare violativo dei principi sanciti dagli artt. 101, 104 e 107 della Costituzione, posto che tutte le voci che compongono la «retribuzione» dei magistrati non sono nella libera disponibilita' del Potere legislativo o del Potere esecutivo e che quindi, a maggior ragione, la riduzione dell'indennita' giudiziaria opera un indebito condizionamento nei confronti dell'ordinamento giurisdizionale con conseguente lesione dei parametri gia' considerati (artt. 101, 104 e 108). Inoltre, tale diminuzione, che si risolve per ogni giudice in una minore entrata a copertura di voci di costo relative agli oneri che incontra nell'esercizio della sua attivita', si traduce, di fatto, nella dislocazione di quegli oneri sulla voce stipendio, con ulteriore evidenza della violazione dell'art. 36 della Costituzione, che impone sia l'obbligo di rispettare la proporzionalita' tra la retribuzione e il livello quali-quantitativo del lavoro prestato che il correlato divieto di diminuire lo stipendio se non in conseguenza della diminuzione delle prestazioni richieste. La lesione dei considerati parametri di costituzionalita' e' tanto piu' manifesta in quanto sulla predetta indennita' giudiziaria, una volta applicate le aliquote progressive ad essa specifiche del 15, 25 e 32 per cento, si abbatte l'ulteriore prelievo generalizzato del 5 e del 10 per cento di cui al comma 2 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010. In conclusione la decurtazione che sara' operata nel triennio rende, in fatto, l'indennita' giudiziaria del tutto inidonea ad assolvere il suo compito di «compensazione» degli oneri vivi sopportati dai magistrati nell'espletamento quotidiano delle proprie funzioni; oneri che, dunque, resteranno privi di ristoro e che graveranno, in diminuzione, non sul loro stipendio ma addirittura sul loro patrimonio. In altri termini, poiche' la complessiva proporzionalita' della retribuzione latamente intesa e' raggiunta con il contributo delle sole tre voci che la compongono, dalla immotivata e consistente decurtazione di una di esse scaturisce un'alterazione della complessiva proporzionalita', distorcendo cosi' il significato della voce «stipendio» piu' specificatamente destinata al compenso della prestazione lavorativa. VII. La ricostruzione fin qui proposta, prospettante, sotto diversi profili, l'illegittimita' costituzionale della normativa contestata, presuppone che tale normativa, cosi' come sembrerebbe evincersi dal titolo della legge come sopra richiamato, sia stata introdotta con finalita' latu sensu di contenimento della spesa pubblica, pretesamente giustificanti, nel contesto emergenziale indotto dalle congiunture economiche internazionali, la complessiva riduzione degli emolumenti riconoscibili a fronte di un servizio comunque reso in favore della collettivita'. E se cosi' fosse, si e' piu' che diffusamente argomentato, ove tale contenimento si abbattesse, come e' accaduto, anche sulle retribuzioni dei magistrati, il legislatore ordinario avrebbe l'obbligo costituzionale di rispettare i parametri sopra invocati e non potrebbe ridurre indiscriminatamente le retribuzioni del personale di magistratura in violazione delle garanzie riconosciute, che investono anche il complessivo pertinente livello reddituale in rapporto agli altri pubblici dipendenti. VII.1) Occorre tuttavia dar conto di una possibile diversa ricostruzione che non eliminerebbe affatto i dubbi di costituzionalita' sulla stessa normativa ma, per certi versi, vieppiu' li corroborerebbe. VII.2) Va in proposito anzitutto ribadito che le gia' dette disposizioni normative della cui legittimita' costituzionale si dubita sono state dettate nel corpo del d.l 31 marzo 2010, n. 78, come convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n.122, rubricato «misure urgenti di stabilizzazione finanziaria e competitivita' economica». Il preambolo del d.l. riconduce le sue disposizioni, come gia' detto, alla matrice comune della «straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale, alle finalita' di stabilizzazione finanziaria e del rilancio della competitivita' economica». Il gia' citato art 9 (rubricato «contenimento delle spese in materia di pubblico impiego»), al comma 2, prima di introdurre il c.d. «contributo di solidarieta'» (di cui non si discute nel presente giudizio), fa riferimento alla «eccezionalita' della situazione economica internazionale» ed alle «esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea». Con riguardo alla disciplina dettata dai commi 1, 2, 21 e 22 dell'art. 9 del d.l. n. 78/2010 rilevante per la decisione della controversia, ricorda il Collegio che: per tutti i dipendenti pubblici, ivi compresi i magistrati, per gli anni 2011, 2012 e 2013 e' prevista una decurtazione, nella percentuale del 5% e del 10% delle quote di trattamento economico superiori, rispettivamente, a 90.000 e 150.000 euro annui lordi; per i magistrati, cosi' come per le altre categorie di personale non contrattualizzato, viene introdotto il blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, la cui operativita' e' tuttavia estesa, sia a livello di acconto che a livello di conguaglio (e dunque con effetto anche retroattivo), per i soli magistrati (di tutte le magistrature), a differenza delle altre categorie del personale non contrattualizzato, mentre sono salvaguardati i meccanismi di «progressione automatica dello stipendio», ossia gli scatti di carriera, e cio' perche' ad essi non si applicano i periodi secondo e terzo del comma 21; vengono introdotti dei «tetti» all'acconto per l'anno 2014 (che non puo' superare quello del 2010) e al conguaglio per l'anno 2015 (determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014, escludendo quindi il triennio 2011-2013); nei confronti dei soli magistrati viene operata una riduzione crescente nel tempo dell'indennita' giudiziaria (ex art. 3 .27/1981), come previsto dal secondo periodo del comma 22. Il d.l. n. 98/2011, convertito nella legge n. 111/2011, rubricato «disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», all'art. 16, rubricato «contenimento delle spese in materia di pubblico impiego», prevede per il Governo la facolta' di estensione delle predette misure dettate per il pubblico impiego anche all'anno 2014. Le disposizioni sopra dette introducono, nel loro complesso, misure finalizzate ad incidere in maniera consistente sul trattamento economico dei magistrati per gli anni 2011, 2012 e 2013 e, in ipotesi, anche per l'anno 2014. VII.3) Puo' ragionevolmente ipotizzarsi che tutte le predette disposizioni, anche se presentate come misure di mera riduzione della spesa pubblica, abbiano in realta' natura tributaria, e, in quanto tali, devono essere necessariamente assoggettate ai principi di universalita', capacita' contributiva e progressivita' di cui all'art. 53 della Costituzione. Per valutare se, in concreto, le misure qui in esame (blocco dell'adeguamento automatico per il triennio 2011-2013, introduzione di tetti per il biennio 2014/2015 e taglio dell'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 29 febbraio 1981, n.27) abbiano o meno la natura di tributo «occorre interpretarne la disciplina sostanziale alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale per qualificare come tributarie alcune entrate; criteri che consistono nella doverosita' della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante» (ex plurimis, Corte costituzionale, nn.141 /2009, 335/2008, 64/2008, 334/2006, 73/2005). Tutti indici che, invero, sembrano ricorrere nella specie. Va in generale in proposito osservato che il prelievo forzoso introdotto con il d.l. n.78, piuttosto che incidere sulla misura della retribuzione, e dunque sul piano della spesa (che nell'intenzione del legislatore si intenderebbe con tale mezzo, ridurre), potrebbe ritenersi piuttosto incidente sul piano dell'entrata, e costituire, nei fatti, una innovativa forma di prelievo coattivo di indubbia natura tributaria. A sostegno di tale - indubitabilmente diversa e, per certi versi, alternativa - ricostruzione, sta anzitutto la circostanza che la misura della retribuzione non e' stata formalmente ne' modificata ne' tantomeno ridotta (come peraltro dimostrato dal fatto che le misure di riduzione sono espressamente presentate come «temporanee» e, piu' significativamente, non operano a livello previdenziale, come argomentato anche dalla Ragioneria Generale dello Stato), ma soltanto assoggettata solo temporaneamente, secondo l'attuale formulazione legislativa, ad una restrizione consistente nell'automatico incameramento, da parte dello Stato, delle quote di volta in volta individuate in base ai livelli stipendiali raggiunti dalle singole qualifiche, come una sorta di «prelievo aggiuntivo alla fonte». Orbene, se non e' dubbio che, dal punto di vista del percettore di reddito, la questione, sostanzialmente, e in disparte i profili previdenziali e/o pensionistici, non muti (giacche', per il dipendente, non cambia se lo stipendio e' piu' basso ovvero se e' assoggettato a prelievi fiscali piu' onerosi, ove si consideri il reddito «disponibile»), dal punto di vista teorico le conseguenze sono notevolmente diverse, giacche' il regime delle entrate tributarie deve per parte sua essere conforme ai vincoli in subiecta materia imposti dalla Costituzione (art. 53 in primis). VII.4) A sostegno di tale alternativa ricostruzione, va detto che l'imposizione dei sacrifici economici individuali in esame e' stata realizzata attraverso un atto autoritativo generale di carattere ablatorio e la destinazione del gettito scaturente da tale ablazione concorre al fabbisogno finanziario dello Stato, sotto le sembianze di risparmio di spesa, ma, in realta' e nella sostanza, di prelievo forzoso di somme stipendiali ed indennitarie (normativamente riconosciute come' tali) a copertura di fabbisogni finanziari indifferenziati dello Stato apparato. Le ulteriori «trattenute» in questione sono state invero operate al di fuori di qualsiasi rapporto sinallagmatico, nel senso che esse non trovano ragione in una controprestazione in favore del dipendente ma sono imposte in via autoritativa. Peraltro, lo stesso incipit del comma 2 dell'art.9 («in considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea») fornisce la vera «motivazione» e la ratio della disposizione, collegando in modo esplicito la peculiarita' degli strumenti utilizzati dal legislatore d'urgenza del 2010 ad obiettivi di carattere finanziario, ossia la messa a disposizione di risorse economiche per le esigenze dell'erario. Cio' del resto e' confermato dal (pure sopra ricordato) preambolo al d.l. n. 78/2010 che riconduce la rilevata «straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale» alle finalita' della «stabilizzazione finanziaria» (espressione che peraltro compare identica anche nell'intitolazione del d.l. n. 78) e del «rilancio della competitivita' economica». Orbene, ove ci si muova al di fuori del contesto del principio di corrispettivita', la prestazione in questione non puo' che qualificarsi di natura contributiva e lo scopo del prelievo dovrebbe dunque individuarsi nel procacciamento di entrate occorrenti per l'espletamento delle attivita' necessarie al soddisfacimento degli interessi pubblici, sganciato dunque da qualsiasi rapporto (diretto) di scambio di utilita'. VII.5) Deve concludersi che le norme in esame hanno in effetti istituito dei tributi, di cui presentano le caratteristiche essenziali, e cioe' «la doverosita' della prestazione e il collegamento di questa ad una pubblica spesa, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante» (Corte costituzionale 19 ottobre 2006, n. 334, nonche' Sentenze n. 26 del 1982, 63 del 1990, 2 ed 11 del 1995, 37 del 1997). Ma tale scopo (procurare un'entrata allo Stato) altro non e' che il proprium dell'obbligo (e, per converso, del potere) contributivo, che, tuttavia, in base al gia' richiamato art. 53 Cost., impone il necessario ineludibile collegamento tra imposta e capacita' contributiva, quest'ultima costituente il titolo giustificativo dello stesso prelievo. Tale considerazioni valgono integralmente innanzitutto ed indiscutibilmente per il «contributo di solidarieta'» di cui al comma 2 dell'art. 9, non oggetto di scrutinio diretto in questa sede, contributo la cui natura tributaria e' ulteriormente palesata dall'utilizzo della ben nota tecnica di fissazione di aliquote crescenti per scaglioni di reddito. Che la disposizione in questione sia di carattere tributario si evince dunque dalla sua qualificazione come «ablazione di somme trattenute dal datore di lavoro e da costui successivamente versate nelle casse dell'erario» e dalla destinazione delle somme in questione «all'apprestamento di mezzi necessari al fabbisogno dello Stato (cfr. Corte cost., 12 gennaio 1995, n. 11). Ma identica ratio (dimostrata anche dalla sedes materiae) mutuano anche le disposizioni qui specificatamente in esame, che, sotto le sembianze di risparmio di spesa, in realta' introducono prestazioni patrimoniali imposte che, avendo natura tributaria, devono essere assoggettate ai principi costituzionali dettati dall'art. 53, il quale articolo al primo comma statuisce che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva» ed al secondo che «il sistema tributario e' informato a criteri di progressivita'». VII.6) La disposizione costituzionale in parola e', in primo luogo, chiara nell'individuare in modo inequivoco ed onnicomprensivo («tutti») la platea dei soggetti del prelievo fiscale, ribadendo con forza la necessaria applicazione del generalissimo principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. anche al sistema tributario. La stessa norma specifica il concetto di uguaglianza in materia fiscale ancorandolo alla pari capacita' contributiva, sicche' «l'universalita' della imposizione», desumibile dalla espressione testuale «tutti» (cittadini o non cittadini, in qualche modo collegati con la Repubblica Italiana), deve essere intesa nel senso di obbligo generale, improntato al principio di eguaglianza, di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacita' contributiva (con riferimento al singolo tributo ed al complesso della imposizione fiscale), come «dovere inserito nei rapporti politici in relazione all'appartenenza del soggetto alla collettivita' organizzata» (Corte cost., ord n. 341 /2000). In altri termini, «il primo comma dell'art. 53, nel sancire non gia' solo il dovere delle prestazioni tributarie, ma altresi' il principio della correlazione di queste con la capacita' contributiva di ciascuno, impone al legislatore, oltre all'obbligo di non disporre prestazioni che siano in contrasto con i principi fondamentali, sanciti dalla Costituzione a tutela della persona, altresi' l'obbligo di commisurare il carico tributario in modo uniforme nei confronti dei vari soggetti allorche' sia dato riscontrare per essi una perfetta identita' della situazione di fatto presa in considerazione dalla legge al fine dell'imposizione del tributo» (Corte cost. 92/1963), e cio' in piena conformita', anche ai dettami del generalizzato principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. VII.7) Le censurate disposizioni di cui al comma 22 dell'art.9, al contrario, incidono sul reddito di una sola micro-categoria sociale (che conta poche migliaia di contribuenti), quella dei magistrati, dal che e' evidente, alla luce delle superiori coordinate, che il legislatore, anche a mezzo della non censurata disposizione di cui al comma 2 dell'art. 9, istituente il c.d. «contributo di solidarieta'», ha colpito solo una determinata classe sociale ( i dipendenti pubblici, quanto al comma 2 dell'art. 9) e, in particolare, e per quanto piu' direttamente qui rileva, con misure ancora piu' incisive rispetto agli stessi dipendenti pubblici, i magistrati, quanto al comma 22 dell'art. 9. In tal modo ha previsto un tributo odioso, giacche' specificatamente riferito ad una sola categoria di contribuenti, con l'aggravante di aver individuato, tra tutte le categorie di contribuenti possibili, l'unica il cui trattamento economico risponde a principi di natura costituzionale specifici, ulteriori (l'autonomia e l'indipendenza della magistratura di cui agli artt. 101 comma e 104 comma 1) e piu' pregnanti rispetto a quelli generali di cui all'art. 36 della Costituzione. Invero, invece di prendere come parametro per l'imposizione fiscale un medesimo indice di capacita' contributiva e conseguentemente incidere su tutti i contribuenti versanti nella medesima condizione, le norme in questione, con misure continuative, prolungate nel triennio 2011-2013 (con possibile estensione al 2014) ed in parte al biennio 2014-2015, nonche' irrazionali sotto molteplici profili sono state rivolte ad una ben limitata «classe di persone», colpendo esclusivamente il loro «reddito» e con cio' violando l'art. 53, comma 1 della Costituzione. VII.8) Secondo tale prospettazione, soprattutto il prelievo di parte dell'indennita' giudiziaria non si correla ad alcuna «capacita' contributiva», proprio alla luce della gia' rilevata natura di tale componente della «retribuzione» latamente intesa, non essendo essa, come gia' detto, un elemento di arricchimento della sfera del singolo ma un semplice ristoro di oneri che il magistrato deve necessariamente sostenere per organizzare il proprio lavoro, oneri presuntivamente e forfettariamente determinati gia' in via normativa a monte. Orbene, ove si consideri che il citato articolo 53 della Costituzione sancisce «non gia' solo il dovere delle prestazioni tributarie, ma altresi' il principio della correlazione di queste con la capacita' contributiva di ciascuno» (cfr. Corte cost., sentenza 18 giugno 1963, n. 92), non c'e' dubbio che il legislatore ordinario puo' esercitare il potere impositivo solo in relazione a prestazioni commisurate alla capacita' contributiva degli obbligati, e dunque che la discrezionalita' legislativa e' vincolata al rispetto di un parametro che, tecnicamente, e' un concetto giuridico a contenuto indeterminato ma che, concretamente, deve essere tradotto in un dato obiettivamente esistente e commisurato ad un indice effettivo di ricchezza (nella specie, il reddito da lavoro dipendente); ma tale definizione, per quanto sopra detto, non si attaglia all'indennita' giudiziaria, che non e' «un presupposto rivelatore di ricchezza», avendo esclusivamente natura indennitaria, e la cui incisione non trova alcuna specifica, oggettiva e plausibile causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di maggiore ricchezza (cfr. Sentenza 10 luglio 1975, n. 201). La indennita' giudiziaria dunque non puo' essere assunta ad indice di «capacita' contributiva» ed essere quindi gravata dal prelievo forzoso disposto dal comma 22 dell'art. 9 in esame che, in definitiva, viene a colpire un rimborso compensativo di spese strumentali all'attivita' svolta. VII.9) Va aggiunto che la disposizione in questione (comma 22 dell'art. 9) si pone in contrasto anche con il principio di progressivita' contenuto nel comma 2 dell'art. 53 della Costituzione, dal momento che essa colpisce nella stessa misura fissa (del 15%, per l'anno 2011, del 25% per l'anno 2012 e del 32% per l'anno 2013) tutti gli appartenenti alla categoria, come se la detta indennita' costituisse una sorta di «reddito a tassazione separata» e non gia', ove mai potesse qualificarsi della stessa natura della retribuzione (invece che, come sopra detto, avente natura «indennitaria») concorrere al complessivo ammontare del «reddito» prodotto. In tal modo, il taglio dell'indennita' in misura identica per tutti gli appartenenti alla categoria produce il singolare risultato che i piu' giovani agli inizi della carriera che percepiscono stipendi nettamente inferiori si trovano a pagare le stesse somme di coloro che si trovano in uno stadio avanzato o finale della carriera e percepiscono stipendi anche di molto superiori, con effetti «regressivi» di evidente violazione del principio sopra esposto di progressivita'. VII.10) L'obiezione che il detto principio debba informare non il singolo tributo ma il "sistema" nel suo complesso, d'altra parte, puo' ad avviso del Collegio essere superata dal rilievo che il legislatore ha introdotto un tributo «singolare» incidente sul presupposto economico del reddito da lavoro, esso stesso sottoposto per coerenza e ragionevolezza intrinseca della norma al principio di progressivita', analogamente alle norme disciplinanti l'IRPEF (cfr. Corte costituzionale, 13 gennaio 2006, n. 2) VII.11) Analogo discorso, in punto di violazione dei principi informatori del sistema tributario, ove di norma tributaria dovesse trattarsi, secondo l'alternativa prospettazione qui proposta, vale per il prelievo/congelamento degli acconti e dei conguagli, che costituiscono, come meglio sopra spiegato, non gia' un elemento costitutivo di maggior reddito (rispetto alle altre categorie di lavoratori dipendenti) ma solo un meccanismo di recupero di quanto gia' corrisposto agli altri pubblici dipendenti essenzialmente a garanzia della perdita d'acquisto dei salari nominali. Detti acconti e conguagli non possono dunque considerarsi indici di (maggior) capacita' contributiva ed essere sottoposti a piu' onerosa tassazione. VII.12) Va aggiunto che in base al meccanismo normativo contestato, a differenza di quanto e' previsto per tutti gli altri dipendenti pubblici (che potranno recuperare nella misura stabilita in sede di trattativa sindacale e in esito allo sblocco della contrattazione collettiva quanto sarebbe loro spettato nel periodo precedente), non e' prevista alcuna possibilita' di recupero di quanto non corrisposto nel triennio 2011-2013 per i magistrati, per i quali, oltretutto, con lo stesso comma 22 dell'art.9, e' stato stabilito il "tetto" dell'acconto spettante per l'anno 2014 e del conguaglio per l'anno 2015. Il prelievo in questione e' dunque definitivamente incamerato dallo Stato, alla stregua di una comune imposizione tributaria. VII.13) Dall'esame del complesso meccanismo di blocco degli incrementi, cosi' disegnati differentemente per categorie appartenenti alla medesima area di pubblici dipendenti con distinta capacita' economica tratta da reddito di lavoro dipendente, appare fondata anche la dedotta disparita' di trattamento tra le categorie dei lavoratori del pubblico impiego e in particolare la prospettata violazione del precetto di cui all'art. 3 della Costituzione e del concorrente canone di ragionevolezza. Con riguardo al primo termine, se e' stato ritenuto (e potrebbe ritenersi) legittimo il blocco per un anno degli incrementi retributivi in conseguenza di automatismi stipendiali o per progressione automatica della carriera, per altro verso quel meccanismo, «pur collocandosi in un ambito estremo», e' stato ritenuto compatibile con la Costituzione in quanto limitato nel tempo ad un solo anno e non «irrazionalmente ripartito tra categorie diverse di cittadini», giacche' la manovra di contenimento della spesa pubblica (si trattava dell'anno 1993) non incideva «soltanto sulla condizione e sul patrimonio del pubblico impiego, ma anche su quello di altre categorie di lavoratori (cfr. ordinanza 14 luglio 1999, n. 299). Anche in relazione agli univoci messaggi della Corte, la manovra finanziaria qui in esame appare invece del tutto irragionevole e sperequata, sia in ordine ad altre categorie di lavoratori pubblici (ma anche e soprattutto privati), sia con riguardo al lasso temporale di riferimento che supera abbondantemente il periodo annuale. In proposito, tenuto conto dell'esigenza di fronteggiare la crisi economica e internazionale, in particolare dei paesi della zona euro), il legislatore avrebbe dovuto, piuttosto che restringere la contribuzione diretta al risanamento delle casse dello Stato alle sole retribuzioni dei pubblici dipendenti, ed ancora piu' afflittivamente dei magistrati, includere, invece, gli altri percettori di reddito aventi la stessa capacita' contributiva, e, in vista dell'evento della palesata esigenza inderogabile della riduzione di spesa, in definitiva la collettivita' nel suo insieme. Emerge, in proposito, un'ulteriore profilo di irragionevolezza delle misure di riduzione della spesa (o, alternativamente, di aumento delle entrate), che risultano in sostanza accollate solo ad una parte dei cittadini, mentre i benefici andranno a beneficio di tutti, in violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, ossia con il principio di solidarieta' sociale cui corrispondono doveri inderogabili e di eguaglianza. In tale logica, non si giustifica, ad esempio, la esclusione dei lavoratori del settore privato (dipendenti o autonomi) dal prelievo imposto, tenuto anche conto che le retribuzioni di tale settore, specialmente ai livelli dirigenziali e manageriali delle imprese, per non parlare dei professionisti piu' facoltosi (notai, farmacisti, avvocati, medici specialisti, ecc.), sono enormemente piu' elevate di quelle del settore pubblico, e dunque in grado di garantire un maggiore gettito alle finanze pubbliche. VII.14) In presenza di una identica situazione reddituale, le disposizioni in parola finiscono poi per trattare in maniera ingiustificatamente diversa, nel suo stesso interno, la categoria dei pubblici dipendenti. Deve qui farsi riferimento al singolare risultato prodotto dalle disposizioni in questione per effetto delle quali il trattamento economico dei magistrati che non maturino scatti o progressioni di carriera negli anni di riferimento e' soggetto a riduzioni contrariamente a quanto accade con riguardo ai trattamenti retributivi degli altri pubblici dipendenti, ivi compreso quello dei dirigenti, che, sino alla soglia di 90,000 euro lordi annui, non possono aumentare ma nemmeno possono decrescere. Dunque, l'unica categoria di dipendenti che, tra tutti i contribuenti che percepiscono fino a 90.000 euro annui lordi per lavoro dipendente, a causa della generale crisi economica, vede ridursi il proprio trattamento economico e' quella dei magistrati, e cioe', ancora una volta, l'unica categoria la tutela del cui trattamento stipendiale deve rispondere a principi di natura costituzionale. La disparita' sussiste anche con riferimento a quei pubblici dipendenti (ad esempio i dirigenti) che percepiscano piu' di 90.000 o 150.000 euro annui lordi, tenuti, come i magistrati, a versare il contributo di solidarieta', ma non tenuti, al contrario dei magistrati, alle ulteriori misure del taglio dell'indennita' giudiziaria, al blocco degli adeguamenti automatici, all'introduzione di tetti agli stessi. Oltre al parametro di cui all'art. 3, risulta altresi' violato il piu' generale principio di ragionevolezza che, secondo la Corte, risulta vulnerato «anche in assenza di una sostanziale disparita' di trattamento tra fattispecie omogenee, allorche' la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorieta' od illogicita' rispetto al contesto normativo preesistente o rispetto alla complessiva finalita' perseguita dal legislatore». In proposito, giova ancora richiamare l'art. 16 del d.l. 6 luglio 2011, n. 9, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111 che ha testualmente previsto che «qualora, per qualsiasi ragione, inclusa l'emanazione di provvedimenti giurisdizionali diversi dalle decisioni della Corte costituzionale, non siano conseguiti gli effetti finanziari utili conseguenti, per ciascuno degli stessi anni 2011-2013, alle disposizioni di cui ai commi 2 e 22 dell'articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, dalle legge 30 luglio 2010, n.122, i medesimi effetti finanziari sono recuperati, con misure di carattere generale, nell'anno immediatamente successivo nei riguardi delle stesse categorie di personale cui si applicano le predette disposizioni». Orbene, in disparte il carattere ulteriormente «singolare» della disposizione, valutabile sotto lo stesso profilo gia' evidenziato della ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione (principio di uguaglianza, posto che solo al personale di magistratura si applica tale ultimo intervento), la stessa puo' essere qualificata come testuale affermazione del carattere «recuperatorio» della imposizione e in definitiva della sua natura tributaria, esattamente come argomentato sopra. VIII. Le suesposte considerazioni fondano il giudizio di rilevanza, ai fini della compiuta decisione nel merito della controversia, e di non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale dei commi 21, primo periodo, e 22 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui, per il personale di cui alla legge n. 27 del 1981, hanno stabilito che: non si applicano i meccanismi di adeguamento retributivo per gli anni 2011, 2012 e 2013 e non danno comunque luogo a possibilita' di recupero negli anni successivi; non siano erogati, ma senza possibilita' di recupero, gli acconti per gli anni 2011, 2013 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012; per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 sia pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 sia determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; la c.d. indennita' giudiziaria spettante negli anni 2011, 2012 e 2013 sia ridotta progressivamente del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013; il tutto per contrasto con gli articoli, 3, 36, 53, 97, 101, 104, 108 e 111 della Costituzione, nei termini e per le ragioni esposti in motivazione. Si rimette pertanto la sua definizione alla Corte costituzionale con sospensione del presente giudizio e con trasmissione degli atti alla stessa Corte. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese del giudizio resta riservata alla decisione definitiva.